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Il genius faber è sotto attacco!

Queste sono le prime parole che ci rivolge Edoardo Nesi, con l’impeto del toscano disincantato ma pieno di passione e voglia di combattere per qualcosa in cui crede profondamente.

Edoardo Nesi, vincitore del Premio Strega 2011 con il romanzo Storia della mia gente, è un personaggio che racchiude in sé molte anime e almeno due destini.

È stato imprenditore, è scrittore e traduttore, dal 2013 è Deputato alla Camera nel Gruppo Misto.
Lo incontriamo al Festival della Lettura di Ivrea La grande Invasione, impegnato a raccontare la sua carriera di lettore attraverso i romanzi che lo hanno formato.

Alla nostra domanda: “Esiste il genius faber, quella portentosa matrice culturale, storica e sociale che rende inimitabile il lavoro italiano?” lui risponde che esiste, senza dubbio, e che si trova sotto attacco. Sa bene di cosa parla, Edoardo Nesi, che nel suo passato di imprenditore, a capo dell’impresa tessile di famiglia, si è trovato a misurarsi con la più grande crisi economico-finanziaria dei tempi recenti. La crisi, la miopia delle politiche industriali, la mancanza di aiuti adeguati a fronteggiare il nuovo scenario e l’implacabile concorrenza cinese, hanno spezzato le tradizioni e gli equilibri di una intera zona, quella di Prato, che aveva creato intorno alla cultura della lavorazione dei “cenci” la sua identità e la sua economia.

Nesi si è trovato così a cedere l’impresa di famiglia nel 2004, e a dover fare i conti con una sconfitta personale, economica e sociale che portava in sé l’immagine di una sconfitta colossale del Made in Italy e del lavoro italiano.

Dalla sconfitta è uscito portando con sé quella capacità creativa, di adattamento e rigenerazione che è propria dell’imprenditoria italiana, di un modo di lavorare che sa trarre dalla mutevolezza delle condizioni esterne, per quanto avverse, una nuova ricchezza.

Il suo destino di imprenditore si è trasformato così in destino di narratore. Cantore di una sconfitta ma anche di una testimonianza preziosa, che non teme la fatica di impegnarsi in un cambiamento che non è solo personale ma al servizio della comunità. Altro che storytelling.

Nesi la sua storia l’ha scritta e scavata con l’urgenza di farne catarsi e motivo di salvezza. Storia della mia gente attraversa il fallimento totale, la fine di un sogno, che come tale richiede di essere inscritto in una memoria utile a riscrivere un futuro possibile.

Il nuovo destino di scrittore per Nesi è poi confluito in quello di politico, dotandosi del coraggio di affrontare proprio quel versante da cui i tanti imprenditori di Prato e di Italia non hanno ricevuto le risposte adeguate a fronteggiare una crisi che li ha travolti.

La sua analisi non ha smesso di rivolgersi al passato mentre la scelta di dedicarsi alla polis tende evidentemente al futuro. Forse è figlio di queste diverse pulsioni, il successivo romanzo: ne L’estate infinita (Bompiani, 2015), l’epica dell’Italia anni Sessanta-Settanta rivela un’epoca in cui “C’era spazio per tutti. In Storia della mia gente raccontavo il fallimento totale. Ho pensato: non è giusto raccontare la fine di una cosa bella senza raccontare la cosa bella. Tutto qui”.

Quello che noi accogliamo e raccogliamo è l’invito, anzi l’appello che Nesi rivolge a tutti: il genius faber, quell’inimitabile saper fare italiano congiunto al saper essere, è qualcosa che deve essere “raccontato e ri-raccontano migliaia di volte. Togliendo quell’idea che è sempre solo il lavoro di uno quello che conta. Perché non è vero”.

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