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Contro il terrore, contro la stupidità

Fiore

Nel mare di ripugnante violenza e di conseguente trivialità che ha allagato le cronache di questi giorni, qualcuno ha conservato la lucidità necessaria. È il caso di Antonio Funiciello che il 2 dicembre sulle pagine de Il Foglio ha compreso con quali armi si potrebbe e dovrebbe combattere, sul serio, il terrorismo e il terrore. Bombardamenti, droni e altre amenità non sono che palliativi. Il solito modo semplicistico di chi non riesce o non vuole cogliere il nocciolo del problema.

Il terrorismo jihadista ha messo a nudo l’ormai cronica debolezza dell’Occidente e in particolare dell’Europa: l’attuale pochezza del suo universo simbolico e la miseria del nostro immaginario collettivo. Pochezza e miseria che negli ultimi decenni hanno portato l’Occidente, Italia in testa, ad avvilire e calpestare ciò che Funiciello chiama il suo autentico way of life. Io preferisco chiamarla la sua arte di vivere. Intendo ciò che in una trentina di secoli ci ha resi fratelli in qualcosa, uniti in un certo modo di pensare, capaci di danzare insieme e non semplicemente di muoverci ciascuno per conto proprio, trasportati da una corrente generale che ha fatto sì che potessimo riconoscerci e sentirci, pur nelle grandi differenze, in cammino verso un orizzonte comune. Il terrorismo ci scopre bamboccioni indolenti che si pensano astuti, soddisfatti dei nostri trastulli effimeri, ridotti ad essere dei gestori della vita, capaci, avrebbe detto Oscar Wilde, di dare un prezzo a tutto, ma ormai inetti a dare un valore a qualcosa.

Ci scopre malati della retorica del pragmatismo, capaci di isteriche reazioni alla Brancaleone, ma non di azioni responsabili e di lunga durata. Mette a nudo la nostra tragica debolezza, quella che deriva dall’aver per troppo tempo dilapidato le nostre più profonde risorse energetiche, il nostro greggio più vero: cultura, rispetto della persona, ricerca della bellezza, misura nel vivere e nel pensare, apertura e fede nell’intelligenza e nel dialogo. Risorse che hanno permesso all’Europa e in particolare all’Italia di superare momenti ben più bui di quelli attuali. Il terrorismo non fa che confermare ciò che la disoccupazione strisciante, il disagio sociale, la crisi economica, il malessere che pervade molta parte delle nostre vite dovrebbe rendere evidente anche ai più inetti: la vera competizione, anche e soprattutto in politica estera e in economia, non si vince giocando (male) a risiko o recitando come un mantra le (cosiddette) leggi di mercato o della globalizzazione. Vince chi mette in campo con più forza e autenticità il proprio modo di intendere la vita, il lavoro, se stesso, gli altri. Si compete, in ogni campo, con le idee e con i valori sui quali si scommette la propria esistenza. Si vince sentendosi parte di qualcosa per cui vale la pena vivere, per cui vale la pena di darsi e insieme donarsi.

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