Terre di Lavoro

Il Paesaggio interpretato e comunicato attraverso l'identità lavorativa dei Territori.

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La magnifica occasione

Paesaggio italiano

Cinque anni e sembra ieri. Sono passati cinque anni da quando l’indimenticato Edmondo Berselli scriveva: “Le forze conservatrici si sono fatte imprenditrici della paura, inserendo in un solo tableau ideologico la sicurezza nelle città, l’immigrazione clandestina, la “minaccia” islamica, l’altezza dei minareto, la concorrenza degli immigrati sul lavoro…”.

Aveva e continua ad avere pienamente ragione. Una politica trasversalmente conservatrice, banalizzata e banalizzante, senza slanci, incapace di elaborare prospettive di vita buona sta snervando e spegnendo le energie morali e le prospettive di vita di milioni di persone. Nel nostro paese e nel mondo.

Tre anni e sembra ieri. Sono passati tre anni da quando Gustavo Zagrebelsky scriveva:

L’economia mondializzata, omologata agli standard produttivi delle grandi imprese che operano sul mercato mondiale, la grande distribuzione al loro servizio, la pubblicità che orienta i consumi standardizzandoli e crea stili di vita uniformi: tutto ciò produce un’umanità funzionalizzata, ugualizzata nei medesimi bisogni e nelle medesime aspirazioni: in una parola confluisce in una medesima cultura. È questo ciò che vogliamo? O non occorrerebbe invece prestare attenzione a ciò che di originale, sotto la calotta in crisi dell’economia finanziarizzata su scala mondiale, si muove e cerca di crescere: nuove e antiche professioni che cercano di emergere o riemergere, nuove forme di produzione, di collaborazione tra produttori, nuove reti di collegamento solidale tra produttori, nuove modalità di distribuzione e di consumo; riscoperta di risorse e patrimoni materiali e culturali esistenti, ma finora nascosti o dimenticati. Il nostro Paese avrebbe tante cose e tante energie da portare alla luce nell’interesse di tutti.

Aveva e continua ad avere perfettamente ragione. Asfissiato dalla politica della paura e consapevole delle tragedie di un certo capitalismo predatorio, il mondo imprenditoriale italiano si trova di fronte a una sfida che è anche una magnifica occasione: proporre al sistema paese una via che sia insieme economica, politica e culturale. Per trovarla basta attingere alla nostra più autentica tradizione produttiva, quella fatta di efficienza, tecnologia, intelligenza e contemporaneamente di tradizione, convivialità, gusto, bellezza. Vale a dire puntare sul modello di lavoro italiano (il ben fare coniugato con il fare bene e con il ben essere).

Il lavoro italiano accoglie e integra economia, politica e cultura. È contemporaneamente espressione di regole e di indirizzi di civile convivenza (funzione politica); è retto da un’etica e da un’estetica del vivere (funzione culturale); è fonte di ricchezza e benessere (funzione economica). Detto in altro modo, il lavoro italiano, il lavoro come arte di vivere, è la dimensione dove le istanze individuali si incontrano e si ampliano nella ricerca politica del bene comune; esprime il patrimonio simbolico che caratterizza la nostra civiltà del vivere; è l’elemento decisivo per rendere competitivo il prodotto italiano nel mondo.

Una magnifica occasione: ricordarci di essere fondati sul lavoro, su un modo di lavorare antico di secoli e allo stesso tempo modernissimo, ci farà uscire dalle paludi che vorrebbero inghiottirci.

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