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Focus Adriano Olivetti 2017. L’uomo è il vero protagonista dell’agire di impresa

L’uomo è il vero protagonista dell’agire di impresa

Intervista ad Alberto Peretti, testimonianza dal Focus Adriano Olivetti 2017

A cura di Cinzia Trimboli

La partecipazione di Alberto Peretti al Focus Adriano Olivetti 2017, a Messina il 5-6 maggio scorsi, è il pretesto per condividere alcune riflessioni sulle tematiche più interessanti emerse nel corso dell’evento.

Focus Adriano Olivetti 2017: due giornate di approfondimento che vedono la partecipazione di esperti e studiosi della riflessione olivettiana. Il tema di quest’anno è l’Umanesimo concreto e la gestione della complessità. Quali sono le sue impressioni generali?

Alberto Peretti (AP): l’Italia ha sicuramente bisogno di luoghi e occasioni dove persone di buona volontà, culturalmente preparate, guidate da limpida onestà intellettuale e capaci di maneggiare un pensiero complesso possano incontrarsi e disegnare futuri possibili. Il Focus Adriano Olivetti 2017 è certamente uno di questi. Un’occasione dove si sono incontrati accademici, studiosi, manager, imprenditori.

La scelta di trattare l’argomento della complessità è quanto mai attuale. Il mondo in cui viviamo è sempre più attraversato da questioni dove si intrecciano indissolubilmente aspetti economici, culturali, politici, sociali, antropologici. Questioni che richiedono un pensiero capace di maneggiare nella quotidianità il paradigma della complessità.

Perché Adriano Olivetti?

AP: Adriano è stato a tutti gli effetti un imprenditore della complessità. Nel suo progetto di impresa integrale ha saputo far incontrare le diverse sfere del vivere: fare e essere, materia e spirito, razionalità e poesia, funzionalità ed estetica, localismo e pensiero globale, profitto e ben essere diffuso. Così come molte volte sostenuto dal grande Edgar Morin, intellettuale francese e massimo teorico della complessità, che nell’ultimo incontro abbiamo visto e ascoltato in videoconferenza.

Dal Focus è arrivato forte e chiaro l’invito è ad adottare un pensiero complesso, basato su un approccio multidisplicinare, non settoriale né riduttivo, a partire dal riconoscimento dell’incompiutezza e dell’incompletezza di ogni conoscenza settoriale.

Che cosa le è rimasto più impresso del dibattito?

AP: Da una parte, il ruolo del territorio, inteso non come dimensione di chiusura e rapprendimento campanilistico, ma come luogo del radicamento identitario. Un territorio capace di dare a imprese e a soggetti istituzionali la forza per dialogare con il mondo, in una visione squisitamente glocal. Dove la valorizzazione di identità, realtà e tradizioni locali si concilia con la volontà di dare al pensiero e all’azione territorialmente radicati un orizzonte globale.

Un altro aspetto interessante, che come Genius Faber stiamo studiando a fondo, è il rapporto tra imprese appartenenti a luoghi e a dimensioni culturali anche molto lontani, ma accomunate da una certa visione della vita, in particolare da un comune DNA lavorativo. Un fatto straordinariamente interessante per gli imprenditori italiani operanti in Italia e nel mondo, che possiamo definire l’italian way of work.

Un esempio la linea di continuità tra Toyotismo e l’attuale impresa Toyota (rappresentata da Maurizio Mazzieri e Stefano Cortiglioni) e il modello d’impresa olivettiano. Tanti i fattori di contatto che sono stati sottolineati: dall’attenzione per la persona, alla valorizzazione del sapere, all’intelligenza diffusa come motore strategico per l’agire d’impresa, al tema decisivo della responsabilità personale e del coinvolgimento dei lavoratori riconosciuti non solo come prestatori d’opera ma come persone coinvolte a tutto tondo nella vita dell’azienda.

Infine, il tema della tecnologia. Intendo riferirmi al fatto oggi sempre importante della necessaria armonizzazione tra dimensione tecnologica e dimensione della persona. Un tema di estrema attualità, se pensiamo che oggi giustamente si insiste sulla prospettiva dell’impresa 4.0 come potenziale volano di sviluppo per il sistema Paese. E’ decisivo ripensare la relazione tra l’essere umano, la dimensione digitale e la dimensione della macchina.

Nel dibattito si è di nuovo sottolineato che la vera differenza, anche tra imprese che hanno già investito in tecnologia e in informatizzazione, è data dal fattore uomo. L’essere umano inteso come essere complesso, dotato di intelligenza creativa e strategica, capace di costruire collegamenti e giunzioni. Cose che le macchine non sono in grado di fare.

Mi sembra di capire che il suo bilancio del Focus Adriano Olivetti 2017 è positivo. Qualche suggerimento per il futuro?

AP: Il bilancio è certamente positivo e ringrazio il coordinatore del Focus, Michele Fasano, che sta facendo un’opera egregia. Sono già previsti altri focus, è una storia che continua.

C’è bisogno di far crescere iniziative di questo genere, e Genius Faber si auspica che il cammino continui, ma con un maggiore coinvolgimento di attori sociali e istituzionali. C’è bisogno di maggiore contraddittorio, per evitare il rischio di un certo elitismo autoreferenziale, e cioè che gli incontri si trasformino in circoli ristretti tra persone già perfettamente d’accordo sia nelle premesse che nelle conclusioni.

In particolare, penso alla crescita della componente giovane e al coinvolgimento di soggetti che possano portare una componente critica. Abbiamo bisogno di avere maggiore presenza del mondo delle istituzioni e delle imprese.

Bisogna portare il pensiero olivettiano laddove ancora non c’è, per dissodare e seminare terreni ancora purtroppo incolti. Imprese, istituzioni o anche semplici cittadini che possano trovare nel messaggio olivettiano spunti nuovi per la loro vita e il loro lavoro.

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