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Coincidenze, indizi o prove?

Lingua italiana

“Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova”, scriveva la grande Agatha Christie.

L’arguzia dell’autrice può forse aiutarci a illuminare quello che non è certo un mistero da risolvere ma piuttosto un fenomeno che potrebbe avere interessanti sviluppi in diversi settori, compresi quelli legati al Made in Italy e alla promozione del lavoro italiano nel mondo. Andiamo per ordine: il 14 ottobre 2014 l’agenzia adnkronos ha riportato i dati forniti dalla Farnesina secondo i quali la lingua italiana sarebbe passata dal quinto al quarto posto tra le lingue più studiate al mondo. L’italiano sarebbe inoltre l’ottava lingua più usata su Facebook, con un bacino di potenziali interessati di 250 milioni di persone.

È invece l’agenzia ANSA ad aver riportato l’altro ieri, 10 febbraio 2016, la notizia che la lingua italiana è stata inserita nelle Olimpiadi scolastiche russe, dove potrebbe essere inserita tra le materie da portare all’esame di stato Ege, che regola l’accesso all’università in Russia.

A questo, aggiungiamo che il 21 e 22 ottobre scorsi si sono tenuti a Firenze, a Palazzo Vecchio e presso il Teatro della Pergola, gli Stati Generali della Lingua Italiana nel Mondo, iniziativa voluta dal Ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale in collaborazione con MIUR e MIBACT.

Tre indizi o una prova?

Sicuramente segnali come questi dovrebbero almeno stimolare una riflessione su quanto la lingua italiana, la sua musicalità, il patrimonio culturale che evoca e veicola, andrebbero tenuti sotto controllo come osservati speciali. Parole come “dolce vita”, “allegro” e “sonetto” si diffondono all’estero al fianco dei consueti “spaghetti”, “mozzarella” e “cappuccino”.

E a quanto pare, se addirittura termini come “chiaroscuro”, risultano essere tra i più conosciuti, é proprio l’immaginario artistico e culturale a sollecitare il desiderio di lingua italiana all’estero,

Che farcene, dunque, di questo agente speciale che è la lingua italiana? Vale ancora la pena nasconderlo sotto le mentite spoglie di nomi dalle artificiali risonanze anglofone create nell’intento di assecondare il gusto dei consumatori stranieri? O non sarà strategico iniziare a pensare che parte del valore del prodotto risiede proprio nel piacere che il consumatore all’estero prova nel pronunciarne il nome in italiano?

Una cosa è certa: il mondo intero ha imparato a pronunciare gli improbabili nomi di tavoli e sedie che oggi invadono le nostre case, provenienti da una grande catena svedese, ma a distanza di oltre cinquant’anni da quando Anita Ekberg ha tenuto a battesimo nelle italianissime acque della fontana di Trevi le sue svedesi procacità, all’estero ancora si conosce il significato della Dolce vita.

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