Durante il nostro Viaggio in Italia a stretto contatto con luoghi e personaggi che rendono unico il panorama imprenditoriale italiano, raccogliamo le voci degli imprenditori. Le loro testimonianze e riflessioni arricchiscono il nostro bagaglio e costituiscono un patrimonio da condividere con tutti gli imprenditori che pongono il Lavoro Italiano al centro delle loro strategie di business e al cuore della loro cultura d’impresa.
Tra loro, abbiamo incontrato Marialisa Boschetti, imprenditrice e Presidente CNA Pavia.
La sua esperienza di imprenditrice e il ruolo da lei rivestito in qualità di Presidente CNA di Pavia la rendono un’osservatrice privilegiata sul mondo delle PMI. Secondo lei, cosa vuol dire “cultura d’impresa” oggi nel nostro Paese?
Cultura e Impresa per me rappresentano due tra i pilastri su cui si è costruita la mia vita personale professionale.
La cultura ha da sempre rappresentato per me l’insieme delle conoscenze e dei saperi che consentono di esercitare capacità critica nei confronti del contesto in cui agiamo: la cultura è il vero motore di civiltà e progresso.
L’impresa d’altro canto invece è il motore che, attraverso un ciclo produttivo mette in circolo beni e ricchezza.
Il binomio di cultura e impresa, quando diventa organico, genera il vero progresso del sistema sociale.
Il nostro paese è caratterizzato dalla presenza di imprese medio piccole che ne costituisco l’asse economico portante; queste imprese si sono costituite ed evolute soprattutto negli anni del boom economico, trainate dalla grande industria. Molte hanno innovato e restano ancora sul mercato soprattutto per passaggio generazionale che le ha tramandate da padre in figlio, possiedono notevoli conoscenze e competenze formate sul campo quindi per la maggior parte dei casi di tipo “autarchico”.
Quale ruolo riveste la formazione in questo quadro d’insieme?
Per le aziende riconducibili alla mia esperienza, la formazione aziendale è sempre quella rivolta al personale, oppure quella relativa alle norme legate all’attività. Raramente vengono proposte occasioni formative e fatti investimenti rivolti agli imprenditori.
La crisi e i mutamenti globali, dimostrano che non basta più essere consapevoli di saper fare bene il proprio lavoro: occorre altro per poter restare in un contesto sempre più globale e competitivo. Bisogna saper vendere bene, saper cogliere le nuove richieste del mercato, attirare clienti usando molteplici linguaggi. Bisogna avere quella cultura che guida scelte e indirizza verso soluzioni.
Ma come dicevo le imprese, soprattutto se medio/piccole, con i loro soli mezzi faticano a stare al passo. È qui che le associazioni di categoria e le Istituzioni tra cui le Camere di Commercio e Istituti di Credito devono fare la loro parte, perché sono le sole con cui l’imprenditore entra in contatto al di fuori della sfera prettamente produttiva.
Una corretta cultura d’impresa nell’Italia di oggi può essere uno strumento utile a fronteggiare la crisi economica?
La crisi ha insegnato molto: ci ha dimostrato che è bene avere gli strumenti per prevenire e la capacità di guardare oltre. Dal 2009 in poi molti imprenditori hanno dovuto lottare parecchio per restare a galla. Buona parte ce l’ha fatta ma molti hanno ceduto.
Ritengo che differenti siano i fattori che hanno permesso alle imprese di resistere e persistere. Di certo erano dotate di una cultura fatta di valori, di capacità di sacrificio di qualità ma soprattutto di profondo attaccamento a quanto si è costruito e alla consapevolezza del loro saper fare.
Dalla mia esperienza vedo imprenditori perfettamente consapevoli del ruolo che hanno nella società: sanno benissimo che dalle loro azioni dipendono, oltre che la loro, anche le famiglie dei loro dipendenti. Sanno che i dipendenti sono il vero capitale dell’azienda perché su loro hanno investito in formazione e trasmissione di conoscenze. Sanno che è necessario investire in macchinari e tecnologie per essere competitivi.
In che modo creatività, innovazione e responsabilità possono conciliarsi con la ricerca del profitto e le logiche di mercato?
L’Italia è un paese con un grandissimo potenziale creativo e tecnologico che stenta ad emergere: è troppo poco valorizzato e in molta parte soffocato dalla burocrazia e dalla concorrenza illegale.
Io penso ad una crescita del nostro paese trainata dal genio creativo che fin dal Rinascimento ha distinto l’Italia, ma bisogna anche dotare il sistema Paese di meccanismi premianti per chi fa impresa e la fa bene. Bisogna dare consapevolezza del valore di ciò che si produce dando strumenti e valorizzando le competenze. È assolutamente fondamentale sviluppare “autostima”, tutelando e agevolando.
La cultura d’impresa deve essere trasmessa già partire dalle scuole e anche nelle Università, dove l’economia viene spesso vista come una massa di teorie con scarse aperture ai territori in grado di dare loro concretezza.
Come imprenditrice, qual è la sua esperienza? In che modo la sua Azienda crea e comunica all’interno e all’esterno la propria cultura d’impresa?
La mia esperienza è modellata su quanto detto finora: la mia azienda, Omega Industrie, opera nel settore della meccanica legata all’automotive. Dagli anni 50 in cui è stata fondata, è cresciuta e si è evoluta proprio perché noi come imprenditori per due generazioni abbiamo saputo valorizzare le nostre competenze a partire dai nostri dipendenti, contando sulla loro responsabilità e sul senso di appartenenza, puntando sulla qualità delle nostre lavorazioni. Siamo consapevoli di non poter competere sul prezzo con i mercati low cost, quanto piuttosto sull’essere gli “specialisti” nel nostro settore. Inoltre ci siamo sempre fidati di CNA, la nostra associazione di rappresentanza che rimanendo sempre al nostro fianco ci permette la condivisione di esperienze con altre imprese e ci fornisce gli strumenti per saper guardare avanti.
Secondo lei, il modo di lavorare italiano, può essere un valore centrale nella cultura d’impresa e del Made in Italy in particolare?
Nessuno meglio di quelli che io ritengo i due più illuminati imprenditori Italiani del dopoguerra quali sono stati Adriano Olivetti e Leopoldo Pirelli, si presta ad essere preso a modello per la proposizione del made in Italy fatto non solo di Moda, Cucina Design, ma anche di tecnologia, welfare e di cultura d’impesa: l’hanno fatto loro, seppure in altri tempi, lasciandoci tantissima scuola. Penso che se ognuno facesse la propria parte con profonda onestà intellettuale e politica, senz’altro le imprese, soprattutto quelle più giovani, sarebbero ben disponibili a seguirne l’esempio. È da qui che l’Italia dimostrerà veramente di essere quel grande paese che è.
Pavia, Marzo 2017, Marialisa Boschetti Omega industrie Pavia.